Le mutazioni geniche

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Per mutazione genica si intende quella variazione, anche minima, che avviene nella struttura molecolare di un gene e che può riguardare un solo nucleotide, come anche più nucleotidi, della catena di DNA, come ad esempio la sostituzione di una purina o di una pirimidina con un’altra base azotata (per es.: come avviene nell’anemia falciforme si ha la sostituzione della timina con l’adenina). Una volta avvenuta questa mutazione nella struttura molecolare del materiale genico, essa si riproduce a ogni replicazione del DNA e cioè diventa ereditaria; soltanto un altro cambiamento potrà produrre una nuova mutazione che potrebbe anche consistere in un ritorno alla struttura originale.
Sono, quindi, le mutazioni che alterano un singolo gene e dunque le più “piccole” che si possono avere. In quanto tali non sono visibili attraverso analisi al microscopio (tranne alcuni casi estremi), ma possono essere riscontrate solo tramite analisi genetiche. Le mutazioni geniche portano alla formazione di nuove forme geniche, ovvero di nuovi alleli, detti appunto alleli mutanti. In quanto tali questi sono rari nella popolazione e si differenziano dagli alleli più diffusi detti invece tipi selvatici. Bisogna però far distinzione anche tra alleli mutanti e morfi. I morfi sono infatti due o più alleli di uno stesso gene con frequenza superiore all’1% (polimorfismo). Alla luce di questo ne deriva che il concetto di mutazione non è assoluto: un gene potrà subire una mutazione; se l’allele mutante però troverà le condizioni per diffondersi nella popolazione e superare la frequenza dell’1% non si parlerà più di mutazione ma di morfo.
Possono essere distinte in due categorie: mutazioni puntiformi e mutazioni per sequenze ripetute. Le prime sono causate da sostituzioni di basi o da inserzioni o delezioni di coppie di basi (mutazioni indel). La seconda categoria comprende le mutazioni causate sempre da inserzioni o delezioni ma di sequenze di basi ripetute.

Mutazioni puntiformi

Sostituzioni di basi: Determinano uno scambio di un nucleotide con un altro. Sono definite transizioni qualora vi è un scambio di una purina con altra purina (A ↔ G) o di una pirimidina con un’altra pirimidina (C ↔ T); oppure transversioni quando lo scambio è di una purina con un a pirimidina o viceversa (C/T ↔ A/G). In genere le transizioni sono più frequenti delle transversioni. Quando ci si riferisce a mutazioni di una sequenza che codifica per un determinato prodotto genico le sostituzioni potranno essere:

Mutazioni per sequenze ripetute

Analoghe alle mutazioni indel, interessano però più di un nucleotide adiacente; in particolare interessano gruppi nucleotidici che formano una sequenza la quale si ripete più volte di seguito. La mutazione, che si origina nel corso della replicazione del DNA, provoca una variazione nel numero di queste sequenze ripetute; il nuovo filamento di DNA potrà presentarne in eccesso o in difetto. Il fenomeno che causa la mutazione è detto slittamento della replicazione (replication slippage). Malattie genetiche associate a questo tipo di mutazione sono la Corea di Huntington e la sindrome dell’X fragile.

Effetti delle mutazioni geniche

Gli effetti possono essere notevolmente diversi a seconda del tipo di mutazione e della posizione in cui questa si verifica. Una mutazione può non portare a nessuna conseguenza e questo quando interessa DNA che non codifica (o meglio sembra non codificare) per nessun prodotto genico (il cosiddetto junk DNA o DNA spazzatura). Se la mutazione va invece ad alterare le sequenze codificanti, ovvero i geni, si ha una variazione nel tipo o nella quantità del corrispettivo prodotto genico, che può essere una proteina o RNA funzionale (rRNA, tRNA, snRNA ecc.). Parliamo in questo caso di mutazione biochimica; se la mutazione biochimica porta a una variazione visibile del fenotipo si parla di mutazione morfologica.

Inoltre distinguiamo, sempre in relazione agli effetti, in:

mutazione positiva: quella che porta un vantaggio evolutivo;
mutazione neutra: quella che non risulta in un depotenziamento della capacità riproduttiva dell’individuo;
mutazione subletale: quella che rende più difficoltosa la perpetuazione riproduttiva dell’individuo (il tipico esempio sono le malattie genetiche che debilitano in qualche modo l’individuo, rendendolo meno capace di riprodursi, senza però impedirglielo totalmente);
mutazione letale: quella che non permette all’individuo di raggiungere l’età riproduttiva o non gli permette di riprodursi.
L’efficacia della mutazione, sia positiva che negativa, dipende poi dal tipo di allele mutato così creato; questo potrà essere infatti dominante o recessivo. Nei diploidi (2n cromosomi) se è dominante avrà sempre effetto (sia in un eterozigote che in un omozigote dominante); se è recessivo, essendo aploinsufficiente, per avere effetto ha bisogno che anche l’altro elemento della coppia genica sia mutato (individuo omozigote recessivo). Negli aploidi , che sono emizigoti (n cromosomi), la mutazione avrà invece sempre effetto. (Fonte adattata e rielaborata: ftp://89-97-218-226.ip19.fastwebnet.it/web1/DNA/dna.htm)

Dal minuto 4.47 del video, un esempio di quotidiana mutazione genica:

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